Marco Bagnoli, Quattro punti cardinali

Quattro punti cardinali, 1988,

base in tronchi d’albero, macina di pietra, quattro elementi rispettivamente in legno, alabastro, terracotta e bronzo, mercurio,
insieme cm 155 x 112⌀.

Tutto il tempo penso a quella fonte dove bevve il cavaliere la cui sete da allora cessò per sempre, Galleria Pieroni, Roma 1988.

Quattro sculture, rispettivamente, di legno, alabastro, terracotta e bronzo, ottenute dalla rotazione di altrettanti profili, poggiano su una macina di pietra, a sua volta sostenuta da quattro travi impilate due a due le une sulle altre. Le quattro sculture sono orientate secondo i punti cardinali e contornano una bassa vasca quadrata di mercurio. Un disco di metallo approssimativamente dello stesso raggio della macina separa quest’ultima dalle travi sottostanti.

“Nella descrizione degli eventi gli oggetti appaiono subito come i residui di attività, tracce, linee, su cui, abbandonati a se stessi, al massimo può esercitarsi un’arte dell’ingegno, materiali per costruzioni che avranno vita effimera. Ma l’eventualità può essere evocativa porsi nella trasfigurazione dell’Evo. Questo è evento globale, unità spazio-temporale al di là dello spazio e del tempo, quinta dimensione atemporale e atopica, senz’altra relazione con Se Stesso, Signore della Tenebra e del Sonno Profondo. Fonte inesauribile e traboccante di una creazione avocata. È anche, perciò, il Signore del Residuo. Per Lui, in sua memoria, danzano estatiche queste ombre. Su ciò ancora si può affermare qualcosa. Più oltre, l’indicibile.
Ripercorrere questa via alla ricerca di Sé, significherà oggi un viaggio alla tomba di Narciso, fontana al centro di un giardino divenuto pietra nella sospensione del tempo, recettivo per tanto di un’attesa, preludio di una contemplazione.
‘Camminando nel giardino, ha scritto Bagnoli [in: QUBA, Roma, 1988, p. 63], trovai la fonte e smontai minutamente la sua impalcatura come può fare un infante meccano’.
Perciò si dia il paradosso, in epoca di profana sacralità, epoca dell’oblio e della memoria meccanica, di un’energia dinamica che si esplica nell’ambito di una staticità. Invero è l’arresto della ruota a dispiegare il roteare delle ombre. Al centro della macina, dove si innesta l’asse squadrato, ristagna lo specchio di acqua mercuriale. La pietra trattiene tutto il peso della vista, e riposa a sua volta sul supporto di un tronco tagliato di quercia. Tra legno e pietra fa da diaframma un disco di metallo portato al rosso. Il metallo infatti, separato dall’astro, è il precipitato di un’energia cristallizzata. Ha in sé, per simpatia del fuoco che lo ha generato, tutti i colori possibili. Pila di pietra, specchio, metallo e legno, compongono l’occhio che attende alla danza delle ombre. Queste, che sono solidi di rotazione di legno, terra, cristallo e metallo, si pongono attorno al polo della pupilla fissa allo zenit lungo assi che attraversano punti cardinali.
L’oscurità non deriva più, ora, da ombreggiamento di alberi. La foresta infatti è pietrificata, e con essa il giardino.”
Fulvio Salvadori, La Fonte e il Cavaliere, in: Scritti per Marco Bagnoli 1985-2004, 2005, pp. 14-15.