Marco Bagnoli, Fontana a Delfi

Fontana a Delfi, 2006,

72 elementi in vetro, proiezione luminosa.

Ema Kham Sum, Galleria Giorgio Persano, Torino 2006.

Nella mostra personale presso la Galleria Giorgio Persano a Torino dal titolo [Ema Kham Sum] […] è esposto anche il modello di Fontana a Delphi, 2001. Fontana a Delphi, 2006, una grande proiezione sulla parete, disegna sedici circonferenze di raggio diverso le cui intersezioni generano settantadue punti, numero dalle molte valenze simboliche […].”
Antonella Soldaini, Cronologia in: Marco Bagnoli, 2018, in fase di pubblicazione, pp. 374-375.

Ci troviamo di fronte alla moltiplicazione di una forma a quinconce, un ordine tramandato dall’antichità, che deriva da quella tradizionale concezione ideale secondo cui un’unità è divisa in dodici parti; ciascuna parte è chiamata oncia e definisce la dodicesima parte di un’unità. La forma a quinconce racchiude dunque cinque parti, cinque dodicesimi disposti in modo che quattro punti si trovino ai quattro vertici di un quadrato ed il quinto nel centro. Tale ordine è così diffuso, non solo nelle culture classiche ma pure nell’artigianato, nel conio di monete e stemmi, nelle costellazioni e nelle strutture a nido, che si potrebbe parlare di un principio universale, simile a quello dei cerchi concentrici. Nell’opera di Marco Bagnoli, che nella sua riflessione artistica si avvicina alla matematica mistica, il quinconce è un elemento ricorrente importante. Il paradosso di questo ordine è però costituito dal fatto che nella moltiplicazione, quando dunque ogni vertice di un quinconce diviene il centro di un quinconce successivo, l’ordine si dissolve e si crea una disposizione in file che può continuare all’infinito. Questi settantadue punti di luce costituiscono in effetti uno degli elementi nell’opera di Bagnoli, che dalla finitezza del loro apparire dischiudono un’apertura verso il manifestarsi di un’infinità; questo fenomeno, quest’idea si dimostra nel tentativo di penetrare, per così dire, nella sostanza della luce. Perché risulta che il numero 72 è diffuso in svariate correnti mistiche di tutte le culture. Di queste correnti le più ricche sembrano essere le sacre numerologie della Cabala. Apparirà come un’eco se si tenterà di seguire il complesso dei significati nei commenti sulle Sefirot, delle dieci manifestazioni della divinità, e si troverà la Sefira col nome di Chesed che racchiude il valore numerico di 72: all’interno dell’albero cosmico delle Sefirot, Chesed è la forza definita come la possibilità del moto perpetuo, l’apertura che, in quanto dinamica dell’essere, supera i vincoli delle leggi della fisica e raggiunge una metafisica della luce; in altre parole Chesed è la misericordia divina. Bagnoli intitola questo lavoro Fontana a Delfi, alludendo in tal modo agli antichi miti del passaggio nell’oltretomba.”
Doris von Drathen, La sostanza della luce. Sul lavoro fotografico di Attilio Maranzano su cinque opere di Marco Bagnoli, in: La Ruota del tempo, 2013, p. 25.

In questa mostra esposi per la prima volta il risultato di una ricerca iniziata nel 2000 con un viaggio ispirato al santuario di Delfi di cui conservo tracce fotografiche e un video. A parte questo, qui sono presenti due figure che entrano a fare profondamente parte del mio linguaggio. Tutto era avvenuto la notte prima della mia visita a Delfi. Dovevo presentare un progetto per il santuario ed ero molto su di giri. Arrivai verso sera e mi avevano trovato un albergo a una certa distanza dalle rovine. Si apriva su una vallata di olivi a perdita d’occhio in fondo alla quale si vedeva il mare. Pensai alle processioni verso l’oracolo che approdando dal mare salivano la montagna, incontravano la fonte sacra poco prima dell’ingresso e compivano le purificazioni. Ora mi era tutto più chiaro. Il luogo si attivava solo per quel piccolo spostamento del punto di vista. Durante la notte ebbi un sogno e la mattina mi svegliai trasparente come l’aria. Vi erano tre pilastri ancora alzati e io cercavo una corrispondenza (col disegno). Una stanza bianca conteneva l’insieme ma i muri non li ricordavo. Potevano essere all’esterno. Solo una parete era dipinta. Una luce rossastra si diffondeva sui vasi. Nell’atto di avanzare verso di noi mantenevano una strana torsione e lo stesso livello d’acqua. Da loro proveniva un suono puntiforme verso un centro. Un centro di masse e non di spazi (più tardi un’ombra solida). Adesso mi potevo avventurare nel santuario di Apollo, e vi vagai per giorni, in sua presenza. Il disegno che avevo visto era una punteggiatura a quincunx generata dall’intersecarsi di sedici cerchi eccentrici. Lo immaginai come una serie di platee circolari con alte colonne di pietra romboidali con sopra altrettanti vasi sonori, che si alzavano nei punti di intersezione. Nella mostra posi un grande modello sul tavolo dorato e i punti erano lacrime di vetro. Era così una fontana.
Marco Bagnoli, in: Antonella Soldaini, Cronologia, a sua volta in: Marco Bagnoli, 2018, in fase di pubblicazione, pp. 328-329.

Fontana a Delfi è in Apertura Atelier Marco Bagnoli, Montelupo Fiorentino, dal 5 maggio 2017.